Nato a Nizza nel 1804, spese la sua giovinezza navigando verso l'Oriente e il Mediterraneo. Nel 1833 si iscrisse alla società segreta Giovine Italia. Falliti i moti rivoluzionari mazziniani nel 1834, Garibaldi venne condannato a morte in contumacia dalle autorità sabaude. Si rifugiò allora in Francia, a Marsiglia. Qui, nel 1835, ottenne il comando di un brigantino diretto in Brasile. Una volta giunto in Sudamerica, non esitò a sostenere, attraverso la tattica corsara, l'insurrezione repubblicana scoppiata nella provincia di Rio Grande do Sul contro il governo imperiale brasiliano. La sconfitta di quell'impresa lo obbligò, nel 1842, a riparare a Montevideo, in Uruguay, dove sposò Ana Maria Ribeiro da Silva, detta Anita, che si era unita a lui dal 1839. In seguito prese parte alla guerra civile in Uruguay, a fianco dei ribelli, distinguendosi per il valore mostrato in battaglia e per le sue doti di trascinatore.
IL RITORNO IN ITALIA NEL 1848Quando l'ondata rivoluzionaria che travolse l'Europa nel 1848 raggiunse l'Italia, Garibaldi fece ritorno in patria con altri 84 volontari della Legione italiana in Uruguay e si recò in Lombardia per partecipare alla prima guerra d'indipendenza. Dopo aver cercato di organizzare la difesa di Bergamo, in seguito all'armistizio Salasco, firmato il 9 agosto 1848, egli fu costretto a ritirarsi sul Lago Maggiore; poco dopo, approfittando della propria crescente popolarità, lanciò un proclama per la prosecuzione della guerra e infranse la tregua marciando su Varese. Dopo essere stato per un breve periodo in Toscana, passò poi a Roma per partecipare alla fondazione della Repubblica Romana, di cui fu eletto deputato alla costituente. Egli fu il principale organizzatore e il capo militare della difesa contro i francesi, alleati di Pio IX, riuscendo a resistere agli assedianti per un mese (giugno 1849): quando i francesi entrarono in città, Garibaldi, con 4000 uomini, si diresse a Venezia, ancora libera ma posta a sua volta sotto assedio dagli austriaci. Durante la fuga Anita, stremata, morì nelle Valli di Comacchio. Pochi giorni dopo anche Venezia cadeva e Garibaldi si rifugiò quindi a Genova, dove accettò senza protestare la condanna all'espulsione.
NELLA SOCIETA' NAZIONALE
Nel 1854, dopo aver incontrato il maestro d'un tempo, Mazzini, si allontanò definitivamente dal suo programma insurrezionale antisabaudo pur senza rinnegarne gli ideali repubblicani. La sua fama era ormai divenuta tale che il primo ministro del Regno di Sardegna, Cavour, accettò di avere un colloquio segreto con lui (1856): dopo il loro incontro Garibaldi dichiarò pubblicamente che riteneva indispensabile, per il raggiungimento dell'indipendenza e dell'unità nazionale, sostenere il re Vittorio Emanuele II. L'anno dopo aderiva, come molti altri ex mazziniani, alla Società nazionale, filosabauda, assumendone la vicepresidenza.
L'UNITÀ D'ITALIA
Nel 1858 Cavour affidò a Garibaldi la formazione di un corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi, a cui il comando supremo piemontese affidò, durante la seconda guerra d'indipendenza (1859), il compito di sostenere l'estrema ala sinistra dello schieramento, lungo l'arco prealpino. Riportate le vittorie di Varese e di San Fermo e liberate Como, Bergamo e Brescia, Garibaldi fu bloccato dalla firma dell'armistizio di Villafranca (8-11 luglio 1859), che provocò un raffreddamento dei suoi rapporti con il governo sardo, dove Cavour era stato sostituito dal generale Alfonso La Marmora. Passato al comando dell'esercito formato dalle truppe regolari congiunte di Romagna, Parma, Modena, Bologna e Toscana, ribelli ai rispettivi governi, Garibaldi entrò nelle Marche per cercare di estendere i territori liberati, ma Vittorio Emanuele, timoroso delle reazioni internazionali, lo fermò. Garibaldi allora si ritirò nella modesta tenuta acquistata nell'isoletta sarda di Caprera; ciò non gli impedì di venire eletto deputato in rappresentanza della città natale, Nizza, proprio poco prima che essa, non senza sua grande amarezza, venisse ceduta a Napoleone III, insieme con la Savoia, a compenso dell'alleanza vittoriosa contro l'Austria.
LA SPEDIZIONE DEI MILLE
ULTIME IMPRESE
TERZA GUERRA D'INDIPENDENZA
Nel 1866, nella terza guerra d'indipendenza, Garibaldi tornò alla testa dei volontari e il 21 luglio ottenne contro gli austriaci l'unica vittoria italiana, a Bezzecca, nel Trentino. Ricevuto l'ordine di fermarsi in seguito all'armistizio, telegrafò la famosa risposta: "Obbedisco". Poco tempo dopo, però, nonostante l'aperta disapprovazione del governo italiano, tornò a progettare una spedizione per liberare Roma, ma per la seconda volta venne intercettato dalle truppe italiane e costretto a fermarsi. Sfuggito al loro controllo, il 3 novembre 1867 si scontrò con le truppe francesi e pontificie a Mentana e, dopo un breve combattimento, fu sconfitto e costretto a rifugiarsi a Caprera. Nel 1870, dopo la caduta di Napoleone III, Garibaldi lasciò il confino forzato nell'isola per offrire i suoi servigi alla Repubblica francese impegnata nella guerra franco-prussiana e sconfisse i tedeschi a Digione, unica vittoria francese di quella guerra. Nei suoi ultimi anni si avvicinò alle teorie socialiste, che andavano affermandosi in Italia e all'estero, e accettò la presidenza onoraria di molte Società di mutuo soccorso in tutta Italia. Pur sobbarcandosi numerosi viaggi, accolto ovunque, anche a Londra, con straordinarie manifestazioni di ammirazione, non abbandonò mai la semplicità della sua vita di contadino e pescatore a Caprera.